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La Crisi della Coppia

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Che la coppia oggi sia in crisi è una realtà ormai condivisa da tutti: ben prima del fatidico settimo anno molte donne iniziano a vedere nel proprio principe azzurro un brutto ranocchio, e molti uomini nella propria fata una megera.

Volendo comunque fornire qualche prova statistica, basti pensare che nella nostra regione, il Lazio, nel 2010 si sono registrate 409 separazioni su 1000 matrimoni.

Molte volte, finita una coppia, se ne forma un'altra: la condizione di single non sembrerebbe essere particolarmente ricercata e desiderata. Tuttavia, se non si è riflette a sufficienza sulle ragioni della fine di una relazione, si tende a riproporre, anche con un nuovo partner, lo stesso tipo di relazione che si aveva con il precedente.

La letteratura psicologica sulle coppie, generalmente, sottolinea una serie di fattori che destabilizzano la coppia, mettendone a dura prova la solidità:

- Confini troppo labili rispetto alle famiglie d’origine di entrambi i partner;
- Disaccordo rispetto all’educazione dei figli;
- Scarsa intimità sessuale;
- Incapacità di trovare il giusto equilibrio tra spazi individuali del singolo e spazi della coppia;
- Stili di vita eccessivamente divergenti;
- Difficoltà nel saper dialogare in maniera profonda;

Questi elementi, certamente importanti, da soli però non spiegano il dilagare di separazioni e divorzi. Secondo Roberta Giommi, sessuologa esperta in relazioni di coppia, per cogliere il travaglio delle coppie attuali è necessario prestare attenzione ad alcuni cambiamenti che le caratterizzano rispetto alle coppie dei decenni passati. Nella famiglie tradizionali i ruoli maschili e femminili erano chiaramente, ed anche eccessivamente aggiungeremmo noi, delineati. L’uomo doveva fornire reddito e sicurezza, la donna occuparsi della casa e dei figli. Secondo Parsons, uno dei massimi sociologi del Novecento e studioso delle famiglie americane degli anni 50, l’uomo aveva un “ruolo strumentale”, ovvero doveva occuparsi dell’esterno e farsi garante del fatto che i figli introiettassero adeguatamente le norme sociali, mentre la donna aveva un “ruolo espressivo”, doveva cioè occuparsi dei bisogni affettivi del sistema famiglia. Se ciò da una parte “mutilava” l’identità dei singoli, confinandoli nel ruolo assegnatogli dalla società, dall’altra rendeva il “gioco di coppia” semplice e lineare.

Al giorno d’oggi, invece, si nutrono aspettative piuttosto “alte” sul partner. Il partner maschile deve amare, capire, essere stimolante, essere un compagno attento e premuroso ma allo stesso tempo forte, un padre presente, un buon amante. Per la donna le cose sono, forse, ancora più complicate: deve essere autonoma, ma sessualmente intrigante, madre ed amica, determinata nelle sue scelte, ma fragile e dipendente dalla figura maschile.
Vivere in due, insomma, è diventato molto più complesso che nel passato. Dicendo ciò non vogliamo affatto proporre un improbabile, e tra l’altro né voluto né auspicato, ritorno al passato, vorremmo però sottolineare come un buon percorso psicologico può essere d’aiuto nel riflettere sul proprio modo di vivere la complessità che peculiarizza le coppie contemporanee.

L’avere aspettative così elevate sulla vita di coppia implica che si tende ad immaginare che la propria felicità, la propria realizzazione personale, dipenda in larga misura dall’altro. Ciò è vero, ma solo in parte. Un merito storico della psicologia junghiana è l’aver dimostrato la presenza di elementi femminili nella psiche di un uomo, e di elementi maschili nella psiche di una donna. Tendenzialmente però queste controparti psichiche vengono proiettate, cioè non riconosciute in se stessi, bensì attribuite al partner. Il lettore si potrà domandare perché mai le persone dovrebbero vedere qualità proprie in altri. Chi si occupa di psicologia sa bene invece quanto sia universale e diffuso il fenomeno della proiezione. Ma facciamo un esempio, tratto dalla vita familiare di tutti i giorni, che può far cogliere come le proiezioni siano un fenomeno naturale. Si pensi per un attimo alla tipica famiglia italiana composta da due genitori e da due bambini, una femmina e un maschio: per la bambina è molto più facile scorgere l'energia e la forza di decisione del maschile nel proprio padre anziché riconoscere l’energia che impiega nel gioco o il modo in cui difende la sua autonomia nel voler affermare il proprio punto di vista; per il bambino è più semplice riconoscere la sensibilità umana, il calore, l’accoglienza della propria che madre che non quella dentro di sé. Ciò accade perché in linea di massima ogni bambino/a viene per lo più educato a sviluppare le qualità tipiche che vengono attribuite al proprio sesso di appartenenza, tralasciando le potenzialità psichiche, in egli/ella presenti, del sesso opposto. Di qui le proiezioni, a cui siamo inevitabilmente abituati fin dall’infanzia.

Tuttavia, il proiettare le proprie controparti, o più precisamente il proiettarle eccessivamente, crea spesso molti problemi di coppia nel momento in cui si scopre l’Altro diverso da come lo si riteneva o immaginava. Un uomo potrebbe improvvisamente rendersi conto che la sua compagna non è la musa ispiratrice, dotata di quel calore avvolgente, che egli credeva; uno donna potrebbe cominciare a vedere il suo compagno meno coraggioso, determinato e profondo di quanto pensasse. D’un tratto si scopre che la “dolce metà” non è soltanto solare e luminosa, bensì anche fragile e ombrosa. Riuscire a riprendersi quelle parti di sé, coltivarle nella propria vita, permette di dipendere meno dall’altro/a, e proprio in virtù di ciò, meno arrabbiate/i e più autenticamente in relazione. Perché finalmente l’Altro viene effettivamente visto e riconosciuto per quello che è, e la complessità della coppia, che ricalca la nostra stessa complessità, può divenire il motore di un crescere insieme.

Scrive il celebre psicologo svizzero Carl Gustav Jung nel suo seminario sulle “Visioni”: “Tutti siamo affascinati dalle circostanze esterne, e queste allontanano le nostre menti dalla questione reale, ovvero da ciò che dentro di noi risulta scisso”. Continuare a vedere sempre nell’altro parti proprie, o sperare che l’altro se ne faccia carico, fa si che si rimanga sempre una metà. Dovremmo forse invece tentare di costruirci come un individuo, termine che etimologicamente vuol dire “non diviso”, per non dimenticare che una buona coppia è composta da due individui distinti.