Nonostante l’etimologia del termine non presenti particolari difficoltà, e nonostante rimarchi la presenza di un rivale, definire cosa è la gelosia in maniera univoca e precisa risulta un compito tutt’altro che semplice. Forse è più facile definirla per contrasto attraverso ciò che la differenzia dall’emozione che più di ogni altra le si avvicina, l’invidia: quest’ultima è verso un qualcosa o un qualcuno che si vorrebbe avere, la gelosia è verso qualcosa o qualcuno che si teme di perdere.
Al di là di una possibile definizione, possiamo dire che ognuno di noi conosce la gelosia. Questa sua universalità la rende, per così dire, e non diversamente da altre emozioni, fisiologica e normale. Chiunque, prima o poi nella vita, l’ha intimamente avvertita. La conoscono i bambini nei confronti dei fratelli o di un genitore, la provano gli adolescenti verso i loro coetanei, la prova l’adulto verso il partner, e più in generale viene esperita per un’infinità di motivi che sarebbe impossibile elencare di seguito. In tutte queste circostanze il vissuto da cui sembra trarre origine la gelosia è un sentirsi non sufficientemente riconosciuti in relazioni significative. Il bambino che non si sente apprezzato quanto il fratello, il bambino che deve lasciare spazio al nuovo arrivato in famiglia, il figlio che non si sente pensato dal genitore perché trova quest’ultimo impegnato sempre in altro, l’adolescente che non riesce a sentirsi pienamente parte del suo gruppo di riferimento, il partner che non si sente amato ed accettato, sono tutte occasioni in cui la gelosia può trovare terreno fertile nel quale crescere e germogliare. Melanie Klein, celebre analista dell’infanzia, ebbe modo di notare come in tutte le occasioni in cui è presente una forte gelosia ingombra la presenza di un Altro, un terzo, reale o immaginato che sia.
La gelosia tende a diventare patologica nel momento in cui si trasforma in qualcosa di cronico, in cui si manifesta un costante alternarsi di continui sospetti, rabbia, tristezza, paura di essere abbandonato, bisogno di controllare l’altro, autocommiserazione, vergogna e diminuzione dell’autostima.
Generalmente le persone riescono ad andare oltre la propria gelosia attraverso l’elaborare, il digerire psicologicamente, il fatto che in numerosi contesti la presenza del terzo è un fenomeno, non solo inevitabile, ma che talvolta arricchisce la propria esistenza. Capire che il nuovo arrivato in famiglia può essere il compagno di giochi che mancava, accettare il fatto che un genitore non è solo un genitore ma anche un genitore, vedere che un gruppo non è “il gruppo” bensì un gruppo tra altri, sono tutti passi che facilitano la possibilità di superare le fasi di gelosia. Detto in termini più psicologici, riuscire a rinunciare al legame esclusivo che si tende a voler avere in alcune circostanze permette il superamento della gelosia.
Diversamente vanno le cose per quella che può essere definita “la gelosia romantica” o d’amore. Qui la presenza dell’altro non può essere, ovviamente, tollerata. Molte volte, tuttavia, questo terzo non esiste realmente. Tuttavia il geloso può stancare così tanto il partner con i suoi sospetti, con il suo vedere indizi che non ci sono, da realizzare concretamente una sorta di profezia che si auto-avvera: l’essere lasciato.
Quando la gelosia si presenta in queste vesti, con intensità tale da sfidare qualsiasi logica argomentazione, la persona può ricorrere all’aiuto di uno specialista per venire a capo di quella che taluni hanno definito la sindrome di Otello.
Come? Per rispondere a ciò ci sia consentita una breve digressione. La relazione d’amore è un rapporto così intimo ed intenso, che quasi inevitabilmente attiva la gelosia. Durante l’esperienza amorosa, a causa del continuo confronto con la persona che ci sta accanto, emergono le nostre parti più profonde, e per certi versi oscure. Dice Carl Gustav Jung a tal proposito: “Quando siamo presi profondamente in un coinvolgimento amoroso, abbiamo come la sensazione, che l’Io inizi a vacillare, al punto che perdiamo la padronanza delle nostre azioni.” Il disorientamento che suscita l’esperienza amorosa è, come sosteneva Stendhal, una sorta di pugnale nel cuore. Pugnale che, come accade in maniera più intensa nel geloso che in altri, da il via a fantasie più o meno sfrenate su possibili rivali.
La maggior parte dei gelosi, per tenere a bada questo odioso sentimento, cerca di controllare l’altro, cercando di far si che egli/ella si adegui alle proprie pretese e aspettative. Un controllo che serve a rassicurare sul fatto che l’altro non se ne andrà, perché è uguale a noi. Spesso, questo controllo dell’Altro, si materializza attraverso il tentativo, per lo più inconscio, di riprodurre un rapporto simbiotico sperimentato, con ogni probabilità, nella propria infanzia. E proprio in ciò può servire la saggia profondità della psicoterapia, ovvero nell’evitare di semplificare l’esperienza amorosa nell’ambito del già conosciuto. Scrive Giulia Valerio, esperta analista di vicende di cuore: “Non ci si innamora di essere umani perfetti, come desidereremmo noi stessi, le nostre mamme e i nostri papà, gli amici….ma della nostra parte più remota, lacera, sconosciuta, che racchiude le nostre ferite, il nostro complemento, ciò che vorremmo lasciare fuori dalla nostra storia” (Valerio 2011). Da tutto ciò possiamo trarre una preziosa lezione: si può affrontare la gelosia, non eliminando la diversità dell’Altro, ma riconoscendo che l’Alterità di cui è portatore tocca un’Alterità che alberga dentro di noi e con cui dovremmo stabilire, per quanto ci riesce, un legame psicologico. Per conoscere meglio noi stessi e per entrare in relazione con l’Altro, senza volerlo “dominare” con la nostra gelosia.